Inerti, attoniti, spaventati.
Queste le reazioni condivisibili dinnanzi ai disastri geologici e ai dissesti idrogeologici che il nostro Paese sta vivendo in questi ultimi giorni.
L’allerta maltempo è sempre più un vero e proprio incubo: frane, allagamenti ed esondazioni di fiumi e torrenti, unendosi perfino la forza del mare, sono alcuni degli effetti peggiori di un cambiamento climatico tangibile e inarrestabile. Influisce anche una poco attenta gestione del territorio che sembra non tener più conto delle esigenze della natura.
Fiumi e torrenti cittadini sono tombati, cementificati, deviati, trasformati in canali artificiali, costretti in alvei troppo piccoli in cui l’acqua piovana si accumula rapidamente per poi esplodere provocando esondazioni, crolli e frane.
A proposito di queste innumerevoli emergenze, WWF Italia dichiara questo: “Manca una cultura forestale e naturalistica che possa contrastare quella dell’ingegneria idraulica, che continua, invece, a intervenire modificando il regime delle acque”.
Vi è una domanda che ricorre spesso, rabbiosa, dopo i danni ingenti creati dalle esondazioni che hanno portato anche innumerevoli morti: perché se un argine è stato costruito e poi distrutto dal fiume più e più volte, viene ricostruirlo sempre uguale? Non sarebbe utile trovare una soluzione alternativa?
In seguito all’esondazione del fiume Reno del 1998, in Germania, decisero di acquistare quasi 1000 chilometri quadrati di terreno e di estendere gli argini del fiume. Ecco un esempio intelligente.
Un altro potrebbe essere quello di intraprendere un cammino di manutenzione del suolo montano, rimettendo in funzione la capacità di questi territori di assorbire l’acqua. E’ evidente che sono necessarie leggi che tutelino il territorio ma non solo. Servono esperti che possano essere impiegati per pianificare adeguate soluzioni.
L’acqua è un bene di primaria importanza, porta vita non distruzione.