

Tra 31 anni se continuassimo a immettere nell’ambiente le stesse quantità di plastica che immettiamo oggi ci saranno più plastiche che pesci, questo può bastare per farci agire e non solo riflettere!
Alex Bellini con “10 Rivers 1 Ocean: viaggio nella plastica” punta i riflettori su un problema, ancora troppo sottovalutato, che riguarda la salute del nostro Pianeta e, di riflesso, di noi stessi. In una recente intervista su Rai3 afferma: «Abbiamo perso il senso della misura, di ciò che è giusto o sbagliato. Oggi abbiamo il mondo tra le mani ma viviamo come se avessimo il mondo sotto i piedi»

Il tempo medio di smaltimento di una bottiglia di plastica è pari a 450 anni, è evidente che il prezzo lo pagheremo tutti da qui alle prossime generazioni. E’ evidente che dobbiamo trovare una soluzione a partire da oggi, nessuno è escluso ma la domanda è spontanea: chi o cosa potrà liberarci dalla plastica?
Gli scienziati hanno ingegnerizzato un enzima batterico migliorando la sua capacità di degradare i rifiuti plastici. I ricercatori dell’Università di Portsmouth, in collaborazione con i colleghi National Renewable Energy Laboratory (NREL), hanno creato in laboratorio, quasi per caso, una nuova arma contro i rifiuti polimerici di origine fossile: un enzima mangia plastica. Il gruppo di ricercatori stava studiando la struttura cristallina del PETase, un enzima naturale appartenente a un batterio, scoperto di recente in Giappone, che prolifera tra i rifiuti plastici. Il metabolismo di questo microorganismo – battezzato con il nome di Ideonella sakaiensis 201-F6 – si è evoluto in pochissimi anni in maniera tale da riuscire a digerire il PET (polietilene tereftalato) per ottenere il carbonio di cui ha bisogno. In altre parole ha fatto di necessità virtù, adattando la sua alimentazione all’elemento più frequente del suo ambiente: la plastica.

Prima della scoperta dell’Ideonella Sakaiensis 201-F6 (anno 2016), gli unici organismi di cui si conosceva la capacità di degradare polimeri plastici, erano i funghi.Per “mangiare” il PET e scomporlo in molecole più semplici e più rispettose dell’ambiente, il batterio impiega solo due enzimi: il PETase, per l’appunto, che degrada la plastica in un composto chiamato MHET e il MHETase che riduce quest’ultimo in acido tereftalico. È a questo punto che s’inserisce il lavoro dei ricercatori statunitensi. Il team voleva studiare la struttura dell’enzima mangia plastica per comprenderne l’evoluzione e, un giorno, essere in grado di potenziarlo. Ma intervenendo sulla sua struttura durante l’analisi sono riusciti involontariamente a migliorarne l’efficacia.
Certo è che, ad oggi, si continua a morire per l’inquinamento da plastica!

Ultima notizia è quella del Capodoglio rosa spiaggiato in Sicilia, a Lascari, aveva diversi tagli visibili sul fianco. . Greenpeace denuncia: «Nel suo stomaco molta plastica».
Il mare ci sta mandando un sos disperato, aiutiamolo con gesti concreti iniziando proprio dalle nostre abitudini quotidiane. Eliminando il più possibile l’utilizzo di contenitori in plastica monouso faremo un primo passo verso la tutela dei nostri mari.